Marc Bijl | Dan Shaw-Town

Opening 21_01_2011, 19:00 - from 22_01_2011 to 19_02_2011

curated by Maria Chiara Valacchi, with a text by Marco Tagliafierro

Fu per un caso se Steve Reich nel 1965 scoprì la potenza musicale del defasaggio di piani ritmici. Gli bastò azionare all’unisono due registratori con incise le parole in loop “it’s gonna rain” per capire che il suono, poco dopo, si disallineava creando riverberi inusuali ed echi vibranti. Nascevano così  le celebri composizioni “Phase Patterns”. Come per Reich nella musica, nell’arte i lavori di Dan Shaw-Town e Marc Bijl creano un dislivello simbolico ed espressivo. Nella reiterazione di codici estetici appurati, i due artisti avvertono il bisogno di una nuova lettura; attuano una minima imperfezione formale e concettuale sull’originale archetipo e realizzano opere differenti nel significato e nella struttura. Per Dan Shaw-Town l’origine è il minimalismo e in particolare la lezione pittorica di Frank Stella, Agnes Martin e Robert Ryman. Stende su carta, riga per riga, strati spessi di grafite, assottiglia la trama del supporto e cambia con il lavoro la natura delle cose. Ogni opera è il simbolo del mutamento nel tempo, è un processo continuo di segno e  forma che cela la vera essenza delle materia. Il disegno diventa scultura, il passaggio cadenzato della matita mima le spesse lastre metalliche e il ricordo va alle sperimentazioni del passato. Marc Bijl altera il significato delle icone, degli slogan, dei codici estetici e comportamentali. Il ritmo sociale diventa per lui una litania da stravolgere. Deturpa le opere e gli stilemi del passato e del presente per raccontare con pragmatismo e irriverenza la sua idea del mondo. Prende l’opera simbolo di Barnett Newman “Broken Obelisk” e ne ricrea una versione fake e leggera con il cartone, ne cambia il nome e il senso in “Broken love” monumento ad un amore finito. Con la sua opera abbatte le sovrastrutture e  riconnota le simbologie superficiali entrate ingiustamente nel mito.  Stessi segni, microscopiche, macroscopiche differenze,  “dipendenza sensibile alle condizioni iniziali”, la teoria del caos, il defasaggio del reale.

Maria Chiara Valacchi

Loghi, simboli, label ed altre rappresentazioni dell’estetica post-capitalista e post-ideologica sono al centro della ricerca intrapresa da Marc Bijl. L’artista olandese è solito compiere un’investigazione sui simboli del potere,  scomponendoli  nei glifi da cui sono costituiti, arrivando a svelare gli archetipi che sostengono quel tipo di sistema segnico. Marc Bijl, in una fase successiva del suo processo di analisi ed elaborazione semiologica, giunge a riposizionare questi “segnali”  in nuove strutture che si presentano alternativamente in forma di installazione, graffito, scultura, intervento pubblico, poster, sticker, composizioni in grado di dimostrare come le organizzazioni sociali e politiche siano strutturate su modello dei simboli che Bijl prende in considerazione. Il metodo sostituisce l’ideologia anche per l’artista inglese Dan Shaw-Town: ogni simbolo viene messo in crisi. Un criterio di lavoro e di indagine che parte dall’appropriazione di segni ricorrenti nella quotidianità  per riconsiderarne le potenzialità estetiche, spesso rendendoli ciò che non sono. In questo senso Shaw-Town opera con estrema dimestichezza nel passaggio tra bidimensionale e tridimensionale. In ultima analisi il suo lavoro si riconosce in un movimento continuo, anche se in senso figurato, che rende i suoi elaborati visivi delle “configurazioni multiple”. Penso con convinzione che i fondamenti teorici dell’investigazione estetica intrapresa da Marc Bijl e Dan Shaw-Town vadano ricercati in quella temperie culturale e speculativa  animata dall’epistemologo Max Bense negli anni di ricerca (dal 1958 fino al 1978) presso l’Università di Stoccarda. Bense  riprendendo in esame il pensiero  del matematico George David Birkhoff  soprattutto per quanto riguarda il rapporto arte e matematica; per Bense l’arte è una complessa architettura i cui singoli elementi si compongono in base ad una sorta di sovrabbondanza o meglio ridondanza.

Marco Tagliafierro


24/01/2011